La galera è come il cancro e come la morte, come la cecità e come la zoppia: ha bisogno di eufemismi; si avvale di sinonimi quali prigione, carcere, gattabuia, casa di pena, ma ha assolutamente bisogno di eufemismi. E qui la fantasia morbosa delle anime belle si scatena: non si deve dire carcere né gabbio, meglio dire collegio, cortile senza sole, cielo a scacchi, tanto che i carcerati, dopo detenuti, ospiti, e reclusi qualcuno, lisciandosi la permanente, comincerà a chiamarli diversamente liberi.
Uno degli eufemismi più cari ai TG è “casa circondariale”: non si sente mai più di un bandito sbattuto in cella, no: sistematicamente gli arrestati, per i TG , vengono “associati alla casa circondariale”.
In queste pagine si parla di detenzioni prolungate, della negazione di libertà personale che viene dall'essere rinchiusi fra quattro pareti di pietra a interloquire solamente coi compagni di cella oppure coi carcerieri (parola che a sua volta ha bisogno di decine di eufemismi), oppure segregati fra impalpabili pareti immateriali ancora più oscure.
Qui si dice che si può essere prigionieri della paura, o di estorsori che incutono paura; qui si dice che per fame si diviene prigionieri dei padroni dei terreni e delle loro case, che si può essere incarcerati nel labirinto di un mito splendente e anche che si può divenire ostaggio di una divisa e dei suoi simbolici orpelli, che a volte il DNA portato da un corpo è incarnato nel regno sbagliato, e che lo scheletro del potere è costituito dalla perfidia umana nella familiarità del male, fino a che le sbarre ce le si porta incarnate nella mente, dove la relazione con gli altri diviene il metro quotidiano dell’autoprigionia, eccelsa vetta evolutiva della specie che occupa il pianeta.
Parlando del suo famoso atto unico “A porte chiuse”, J.P. Sartre ebbe a dire, anni fa che “l’inferno sono gli altri”. E l’inferno è la prigione per eccellenza.
(w/Cody)*
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Camere circondariali - edizioni Giannatelli
racconti di Pasquale Doria, Peppe Lomonaco, Aniello Ertico, Costantino Dilillo.
disegni di Luisa Lapacciana
Uno degli eufemismi più cari ai TG è “casa circondariale”: non si sente mai più di un bandito sbattuto in cella, no: sistematicamente gli arrestati, per i TG , vengono “associati alla casa circondariale”.
In queste pagine si parla di detenzioni prolungate, della negazione di libertà personale che viene dall'essere rinchiusi fra quattro pareti di pietra a interloquire solamente coi compagni di cella oppure coi carcerieri (parola che a sua volta ha bisogno di decine di eufemismi), oppure segregati fra impalpabili pareti immateriali ancora più oscure.
Qui si dice che si può essere prigionieri della paura, o di estorsori che incutono paura; qui si dice che per fame si diviene prigionieri dei padroni dei terreni e delle loro case, che si può essere incarcerati nel labirinto di un mito splendente e anche che si può divenire ostaggio di una divisa e dei suoi simbolici orpelli, che a volte il DNA portato da un corpo è incarnato nel regno sbagliato, e che lo scheletro del potere è costituito dalla perfidia umana nella familiarità del male, fino a che le sbarre ce le si porta incarnate nella mente, dove la relazione con gli altri diviene il metro quotidiano dell’autoprigionia, eccelsa vetta evolutiva della specie che occupa il pianeta.
Parlando del suo famoso atto unico “A porte chiuse”, J.P. Sartre ebbe a dire, anni fa che “l’inferno sono gli altri”. E l’inferno è la prigione per eccellenza.
(w/Cody)*
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Camere circondariali - edizioni Giannatelli
racconti di Pasquale Doria, Peppe Lomonaco, Aniello Ertico, Costantino Dilillo.
disegni di Luisa Lapacciana
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